Solstizio d’estate

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Per “solstizio d’estate” si indica un momento astronomico con cadenza annuale che si verifica nel mese di giugno, approssimativamente attorno alla data del 21.

Il termine “solstizio” deriva dal latino Sol Stitium oppure Sol Sta, che significa Sole che si ferma.

Dal punto di vista astronomico abbiamo l’impressione che il sole si fermi. Fino a questo momento ha compiuto come un cammino ascendente nella volta celeste. Ora si arresta, per poi cominciare il percorso discendente.

Questo discorso vale per l’emisfero boreale, quello in cui ci troviamo. Come tutti sappiamo, infatti, l’emisfero australe, si trova in questo stesso periodo nella situazione opposta. Anche loro osservando il cielo vedono il sole fermarsi (sol stitium), per riprendere la fase ascendente: è solstizio d’inverno.

L’avvicendarsi di solstizi ed equinozi influenza sensibilmente i ritmi di questo nostro pianeta. Quando il sole sembra in fase ascendente le giornate iniziano lentamente ad allungarsi. Le ore di luce aumentano rispetto a quelle di buio. Nel corso della fase discendente, invece, avviene esattamente  l’opposto.

Il solstizio d’estate è il giorno in cui abbiamo più ore di luce, prima di vedere le giornate accorciarsi lentamente. Fino a giungere al solstizio d’inverno, che è il giorno con più ore di buio.

Tempo ciclico

La chiave per comprendere l’influenza che inevitabilmente questi fenomeni hanno su di noi sta nel concetto di ciclicità.

L’idea di tempo lineare a cui siamo abituati, è una pura convenzione, introdotta dalle religioni politeiste in funzione della loro concezione escatologica dell’esistenza umana. L’introduzione del concetto di peccato si colloca in una visione deterministica ed inevitabilmente lineare della realtà, in cui ogni azione corrisponde ad una ricompensa o punizione.

Il “futuro” che siamo abituati ad immaginare e che spesso è fonte di inquietudine per molti, non esisteva in questa forma presso i Greci, ad esempio. Essi, infatti, ritenevano che il tempo fosse ciclico. Un’osservazione di base empirica, che si riferiva al perpetrarsi dei fenomeni naturali legati alla natura che forniva  sussistenza.

Questa concezione è comune a molti culti e religioni di matrice “ariana”, ceppo linguistico, non antropologico, che accomuna Greci, Latini, ma anche Slavi, Celti, Persiani ed Indiani.

Contrapposizione tra luce ed ombra

Ciò che caratterizza la ciclicità degli antichi è senza dubbio la contrapposizione tra luce ed ombra.

In questo momento specifico dell’anno ci troviamo in una fase di trionfo della luce solare. Il sole ha vinto sulle tenebre. Dal punto di vista il sole archetipico è simbolo di energia maschile. Non è un caso che presso quasi tutti i popoli antichi le divinità solari sono figure di sesso maschile, mentre quelle lunari lo sono di sesso femminile.

La luce solare rappresenta quindi il fare, la progettualità, l’azione programmata. La sfera della razionalità, il maschile, che risiede nell’emisfero  sinistro del cervello umano, in contrapposizione con la sfera istintuale, creativa, il femminile, la sede del talento, come la chiamerebbe Hillman, il nostro emisfero destro.

Questi due elementi caratterizzanti la natura in tutte le sue manifestazioni, in questa fase non si contrappongono in realtà, ma si fondono insieme in quel matrimonio cosmico o alchemico, come è stato chiamato ad un certo punto della storia, tra maschile e femminile, che genera equilibrio.

Nella mitologia il sole in questa fase, trovandosi al massimo della sua potenza, apriva le porte tra i mondi, consentendo agli spiriti di visitare il nostro ed inviandoci dei messaggi attraverso le nuvole in movimento. Per questa ragione quella del solstizio d’estate era considerata la notte più magica dell’anno. Lo stesso Shakespeare nel suo “Sogno di una notte di mezza estate” evidenziava come il potere magico di questa notte influenzasse sensibilmente le vicende umane.

Giano e gli altri…

solstizio, d'estate, litha, paganesimo, demetra, giano, proserpinaI romani avevano una divinità a guardia delle porte solstiziali, Giano Bifronte. Egli possedeva una faccia che guardava al passato, una al futuro ed una terza, l’asse del mondo, che ruotava per aprire la porta solstiziale.

Giano è il nume tutelare dei riti di passaggio, delle porte (il suo nome deriva da Ianua=la porta). Sovrintendeva a tutti i cambiamenti e le trasformazioni.

Allo stesso modo i norreni avevano designato Heimdallr, quale guardiano del Bifrǫst, il ponte arcobaleno. Il passaggio, cioè tra il mondo degli uomini ed il mondo degli Asi. Heimdall dai sensi acuti, è in grado, come Giano, di vedere in tutte le direzioni. E’ il dio dell’ordine, che durante Ragnarök sarà il primo ad accorgersi dell’arrivo dei giganti ed egli stesso combatterà in prima linea uccidendo Loki, personificazione del caos.

Essendo poi il solstizio una celebrazione legata all’economia dei cereali, in particolare il grano, i Greci rendevano omaggio a Demetra, dea delle messi e del grano, appunto.

Demetra è protagonista, insieme alla figlia del racconto mitico noto col nome di “Ratto di Proserpina”. Il nome è quello usato dai romani per la figlia di Demetra, che i greci chiamavano Kore.

La fanciulla, in breve, viene rapita dallo zio Ade, re degli inferi, intenzionato a farne sua moglie. Demetra cerca la figlia per tutto il mondo, il quale per effetto della sua disperazione, comincia a sfiorire, i campi a marcire. Zeus interviene per porre fine a questo evento funesto e si stabilisce che la giovane Kore/Proseprina possa trascorrere metà dell’anno insieme al suo sposo e l’altra insieme a sua madre sulla terra. Pertanto Demetra, si prepara ad accogliere la figlia facendo risvegliare la natura all’equinozio di primavera. Al solstizio la sua gioia è al massimo e la natura dona i suoi raccolti e lo farà fino a Mabon, l’equinozio d’autunno, quando la fanciulla dovrà salutarla per tornare nell’Ade.

Re Quercia contro il Re Agrifoglio

Secondo i Celti ad ogni solstizio questi due re si scontravano e solo uno dei due aveva la meglio. Durante il solstizio d’inverno il re quercia vinceva sul re agrifoglio, poiché il sole vinceva sulle tenebre venendo alla luce (i romani lo chiamavano Sol Invictus). Gli antichi osservando il cielo in questo periodo, vedevano il sole compiere il suo cammino ascendente, consentendo gradualmente alla natura di risvegliarsi dal sonno delle tenebre invernali. Si diceva che passasse attraverso la “porta degli uomini”, della creazione del mondo materiale. Allo stesso modo dopo il solstizio d’estate, il sole riprendeva il suo cammino discendente, passava cioè attraverso la “porta degli dei” del soprannaturale e del divino.

Era questo il momento in cui il re Agrifoglio, che preparava gradualmente la terra al riposo invernale, trionfava sul re Quercia, dopo che egli aveva raggiunto l’apice della sua potenza, durante il solstizio appunto.

Celebrare la prosperità

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Rito druidico moderno a Stonhenge

Il Solstizio è un momento di prosperità, celebrazione dell’abbondanza. Il grano è maturo e tra poco lo si potrà raccogliere ed immagazzinare per l’inverno. Dal punto di vista delle civiltà basate sull’agricoltura dei cereali, questa è una fase propizia da celebrare. I norreni chiamavano questa festa Litha in onore di una divinità del grano, analoga alla Demetra dei Greci.

Analogamente presso i celti, che chiamavano questo giorno Mediosaminos (mezza estate), i sacerdoti che si dedicavano alla guarigione ed alle arti magiche, chiamati Druidi, raccoglievano in questo periodo le erbe da fare essiccare ed utilizzare per tutto l’anno in medicamenti e rituali.

Questo periodo era chiamato dai Druidi Alban Heruin (luce della riva), poiché il sole si congiungeva lentamente con l’orizzonte, la potenza maschile si fondeva nel grembo della madre terra.

 

E’ questo indubbiamente il tempo di celebrare gli obiettivi raggiunti e di portare a compimento quelli ancora in sospeso. Allo stesso tempo è il momento di rendere omaggio alla crescita interiore, come analogia al grano che cresce nei campi divenendo rigoglioso.  Ma è anche il tempo di liberare il talento e passione finora repressi.

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