Platone e l’eternità dell’anima.

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Platone nell’opera intitolata Fedro, espone in modo appassionato ed affabulante, una serie di contenuti che riguardano l’anima e le sue caratteristiche, una di queste è la sua immortalità,

Il filosofo greco ci parla anche del destino dell’anima nel suoi passaggi, della dimensione ultraterrena a quella terrena, riguardano ciò di cui si nutre nella fase in cui è slegata dal corpo, e ciò che agisce nella dimensione terrena.

Il suo discorso filosofico ha una finalità gnoseologica, ma la lettura di queste righe mi porta in uno spazio profondo in cui mi pare di riconoscere una verità eterna. 

<< prima di tutto dunque bisogna intendere la verità riguardo alla natura dell’anima divina e umana (…). Ogni anima è immortale. Infatti ciò che sempre si muove è immortale, mentre ciò che muove altro ed altro è mosso termina la sua vita quando termina il suo movimento. Soltanto ciò che muove se stesso, non cessa mai di muoversi, ma è fonte e principio di movimento per tutte le altre cose dotate di movimento. Il principio non è generato. (245d) Infatti è necessario che tutto ciò che nasce si generi dal principi, ma quest’ultimo non abbia origine da qualcosa, poiché se un principio nascesse da qualcosa non sarebbe più un principio. (…) È necessario che sia anche incorrotto.

Una volta stabilito che ciò che si muove da sé è immortale non si proverà vergogna a dire che l’anima è immortale.

Infatti ogni corpo a cui l’essere in movimento proviene dall’esterno è inanimato, mentre quello cui tale facoltà proviene dall’interno, è animato poiché la natura dell’anima è questa (…) l’anima sarà ingenerata e immortale.

Spiegare quale sia, sarebbe proprio un’esposizione divina (…) direi invece a che cosa somigli, è proprio un’esposizione umana.>>

<< si immagini l’anima simile a una forza costituita per sua natura da una biga alata e da un auriga.  I cavalli e gli aurighi degli dèi sono tutti buoni e nati da buoni, [246b] quelli degli altri sono misti. E innanzitutto l’auriga che è in noi guida un carro a due, poi dei due cavalli uno è bello, buono e nato da cavalli d’ugual specie, l’altro è contrario e nato da stirpe contraria; perciò la guida, per quanto ci riguarda, è di necessità difficile e molesta. Quindi bisogna cercare di definire in che senso il vivente è stato chiamato mortale e immortale. Ogni anima si prende cura di tutto ciò che è inanimato e gira tutto il cielo, ora in una forma, ora nell’altra. Se è perfetta e alata, essa vola in alto e governa tutto il mondo, se invece ha perduto le ali viene trascinata giù finché non s’aggrappa a qualcosa di solido; qui stabilisce la sua dimora e assume un corpo terreno, che per la forza derivata da essa sembra muoversi da sé. Questo insieme, composto di anima e corpo, fu chiamato vivente ed ebbe il soprannome di mortale.>>

ecco che in questa prima parte del mito troviamo gli elementi costituivi dell’essenza vitale umana, della sua anima, che come vedremo tra poco, proprio per la sua natura e per la modalità in cui vivifica un corpo, risulta essere depositaria del sapere e della qualità morale dell’individuo incarnato.

(…) Noi cerchiamo di cogliere la causa della perdita delle ali, per la quale esse si staccano dall’anima. E la causa è all’incirca questa.

La potenza dell’ala tende per sua natura a portare in alto ciò che è pesante, sollevandolo dove abita la stirpe degli dei, e in certo modo partecipa del divino di tutte le cose inerenti il corpo. Il divino è bello, sapiente, buono, e tutto ciò che è tale; da queste qualità l’ala dell’anima è nutrita e accresciuta in sommo grado, mentre viene consunta e rovinata da ciò  che è  brutto, cattivo e contrario ad esse. (…) Quando poi vanno a banchetto per nutrirsi,  procedono in ardua salita verso la sommità della volta celeste, dove i carri degli dei, ben equilibrati e agili da guidare, procedono facilmente, gli altri invece a fatica; infatti il cavallo che partecipa del male  si inclina, e piegando verso terra grava col suo peso l’auriga che non l’ha allevato bene>>

Qui si evince la connessione fra incarnazione e concetto di caduta in relazione alla sua accezione morale. L’auriga che non alleva bene i suoi cavalli non è in grado di reggere alla forza del cavallo che partecipa del male e riesce così a trainare verso il basso l’intero carro.

<<L’essere che realmente è, senza colore, senza forma, e invisibile che può essere contemplato solo dall’intelletto timoniere dell’anima e intorno al quale verte il genere della vera conoscenza, occupa questo luogo. Poiché dunque la mente di un dio È nutrita dall’intelletto e da una scienza pura, anche quella di ogni anima cui preme di ricevere ciò che conviene si appaga di vedere dopo un certo tempo l’essere, e contemplando il vero se ne nutre e ne gode, finché la rotazione ciclica del cielo non l’abbia riportata allo stesso punto. Nel giro che essa compie vede la giustizia stessa, vede la temperanza, vede la scienza, no quella cui è connesso il divenire, e neppure quella che in certo modo è altra perché si fonda su altre cose da quelle che ora noi chiamiamo esseri, ma quella scienza che si fonda su ciò che realmente è essere; e dopo che ha contemplato allo stesso modo gli altri esseri che realmente sono e se ne è saziata, si immerge nuovamente all’interno del cielo e fa ritorno alla sua dimora.(…) Questa è la vita degli dèi. Quanto alle altre anime, l’una, seguendo nel migliore dei modi il dio rendendosi simile a lui, solleva il capo dell’auriga verso il luogo fuori del cielo e  viene trasportata nella sua rotazione, ma essendo turbata dai cavalli vede a fatica gli esseri; l’altra ora solleva il capo, ora piega verso il basso, e poiché i cavalli la costringono a forza riesce a vedere alcuni esseri, altri no. Seguono le altre anime, che aspirano tutte a salire in alto, ma non essendone capaci vengono sommerse e trasportate tutt’ intorno, calpestandosi fra loro, accalcandosi cercando di arrivare una prima dell’altra. Nasce una lotta nella quale per lo scarso valore degli aurighi  molte anime restano azzoppate, e a molte si spezzano molte penne; tutte, se ne partono senza aver raggiunto la contemplazione dell’essere e una volta tornato indietro si nutrono del cibo dell’opinione. La ragione per cui esse mettono tanto impegno per vedere dov’è sita la pianura della verità è questa: il cibo adatto alla parte migliore dell’anima viene dal prato che si trova là, e di esso si nutre la natura dell’ala con cui l’anima si solleva il volo. (…) qualora non abbia visto, e per qualche accidente, riempitasi di oblio ed ignavia, sia appesantita e a causa del suo peso perda le ali e cada sulla terra,  allora è legge che essa non si trapianti in alcuna natura animale nella prima generazione. Invece l’anima che ha visto il maggior numero di esseri si trapianterà nel seme di un uomo destinato a diventare filosofo l’amante del bello o seguace delle Muse o incline l’amore. L’anima che viene per seconda si trapianterà in un re rispettoso delle leggi, o in un uomo atto alla guerra e al comando, quella che viene per terza in un uomo atto ad amministrare lo Stato o la casa o le ricchezze, la quarta in un uomo che sarà amante delle fatiche o degli esercizi ginnici o esperto nella cura del corpo, la quinta è destinata ad avere la vita di un indovino o di un iniziatore ai misteri. [248e] Alla sesta sarà confacente la vita di un poeta o di qualcun altro di coloro che si occupano dell’imitazione, alla settima la vita di un artigiano o di un contadino, all’ottava la vita di un sofista o di un seduttore del popolo, alla nona quella di un tiranno. Tra tutti questi, chi ha condotto la vita secondo giustizia partecipa di una sorte migliore, chi invece è vissuto contro giustizia, di una peggiore; infatti ciascuna anima non torna nel luogo donde è venuta per diecimila anni, [249a] poiché non rimette le ali prima di questo periodo di tempo, tranne quella di colui che ha coltivato la filosofia.

Conoscenza, destino, escatologia, predisposizione a livelli diversi di disvelamento della sophia che, per gli esseri umani, vedremo, nella loro forma più evoluta, non può che essere Philo-Sophia (tensione verso il conoscere, attrazione verso, secondo il significato tradizionale greco).

Il livello di conoscenza che raggiungiamo in una vita è correlato a tutto quanto poc’anzi esposto.

Ma il mito del carro nella sua complessità e ricchezza, narrativa e contenutistica, non si limita a questo.

<<L’anima che non ha mai visto la verità non giungerà mai a tale forma. L’uomo infatti deve comprendere in funzione di ciò che viene detta idea, e che muovendo da una molteplicità di sensazioni viene raccolto dal pensiero in unità; [249c] questa è la reminiscenza delle cose che un tempo la nostra anima vide nel suo procedere assieme al dio, quando guardò dall’alto ciò che ora definiamo essere e levò il capo verso ciò che realmente è. Perciò giustamente solo l’anima del filosofo mette le ali, poiché grazie al ricordo, secondo le sue facoltà, la sua mente è sempre rivolta alle entità in virtù delle quali un dio è divino.>>

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